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Il levoglocusano come tracciante delle combustioni di biomasse
Sviluppo di un metodo presso i laboratori ARPAT per la ricerca di levoglucosano nel particolato atmosferico utile per favorire le misure integrate a livello territoriale dirette alla mitigazione dello stesso
Il particolato atmosferico (PM10, PM2,5), sia di origine naturale che antropica, costituisce un componente ben noto per i suoi effetti negativi a livello globale sulla salute umana ed ha un impatto determinante sulla qualità dell’aria a livello regionale e locale. Molti studi, soprattutto nel corso degli ultimi anni, sono stati focalizzati sulla determinazione nel particolato atmosferico di composti organici e inorganici, alcuni dei quali con la finalità principale di utilizzarli come indicatori delle fonti di provenienza del particolato stesso.
E’ questo il caso del levoglucosano, che è conosciuto come un segnalatore o “marker” specifico della combustione di biomasse (legno e prodotti derivati), la cui presenza si rivela spesso significativa durante la stagione invernale. Il fumo da combustione di biomasse contiene infatti alte concentrazioni di questo composto che deriva dalla pirolisi (processo di decomposizione termochimica) ad alta temperatura (> 300 °C) della cellulosa, presente in ogni tipo di legno.
Sebbene non siano previsti limiti di riferimento nell’aria per questa sostanza, di per sé non pericolosa, la sua determinazione può fornire informazioni utili per individuare le sorgenti di emissione.
La presenza di questa sostanza permette l’attribuzione del particolato dovuto alla combustione di legna e dei suoi derivati per il riscaldamento domestico, allo stesso modo può far rilevare il contributo di abbruciamenti di residui vegetali in agricoltura o quello derivante da possibili incendi boschivi. Lo sviluppo dell’impiego di biomasse costituisce tra l’altro un tema emergente di grande attualità, essendo legato al ricorso sempre più esteso a combustibili alternativi alle fonti fossili tradizionali (gas, petrolio etc.), questi ultimi come noto non rinnovabili e maggiormente responsabili delle emissioni di gas climalteranti.
Nel corso degli ultimi mesi è stato quindi messo a punto presso la U.O. Chimica II di Area Vasta Centro, a cura delle dottoresse Eliana Mirenda e Raffaella Bocciolini, un nuovo metodo per la determinazione di levoglucosano e di altri due anidro-zuccheri (mannosano e galattosano) nel particolato atmosferico raccolto in Toscana presso alcune stazioni della rete regionale per il monitoraggio della qualità dell’aria. Tale metodo prevede l’estrazione degli analiti (ciò che viene ricercato nel campione) dal particolato con solvente in bagno ad ultrasuoni, il trattamento con un opportuno reagente derivatizzante, (sostanza che rende ben identificabile a livello strumentale i composti da determinare) e infine l’impiego della gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa per l'identificazione e quantificazione.
La validazione del metodo (metodo interno ARPAT MI/C/AVC.009) è stata effettuata mediante l’analisi replicata di un materiale di riferimento certificato di particolato, con concentrazioni note di levoglucosano, che ha permesso di verificare l’accuratezza dei dati ottenuti. E’ importante osservare, come conferma anche la letteratura scientifica recente, che il rapporto tra le concentrazioni di levoglucosano, mannosano e galattosano, determinate con questo metodo, potranno essere d’aiuto in alcuni casi nel discriminare/individuare le possibili fonti di combustione e stimare in particolare il contributo specifico della combustione di legna sul particolato atmosferico, in presenza di altre fonti primarie (es. abbruciamenti, traffico urbano) e secondarie (ad esempio sostanze inorganiche che derivano dall’emissione di ammoniaca e composti organici volatili).
Sono attualmente in fase di avvio alcune campagne di analisi presso alcune stazioni di monitoraggio, i cui dati saranno oggetto di valutazione a cura del CRTQA (Centro Regionale Tutela della Qualità dell’Aria).
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