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Partecipazione del pubblico: vent'anni dall'entrata in vigore della Convenzione di Aarhus
La Convenzione auspica i processi partecipativi nella definizione delle decisioni ambientali, ma questo purtroppo oggi non basta, vista la ancora scarsa incidenza della partecipazione in tale ambito
Nel mese di ottobre corrono vent'anni dall'entrata in vigore della Convenzione di Aarhus, che tra i suoi pilastri ha quello della partecipazione del pubblico; l’art. 6 della Convenzione stabilisce infatti che nella definizione delle decisioni ambientali occorre coinvolgere le comunità e gli individui su cui quelle decisioni hanno un impatto.
Gli strumenti partecipativi possono essere diversi, dal Dibattito pubblico, fra i primi ad essere codificato e istituzionalizzato, al Bilancio partecipativo, attraverso cui i cittadini sono chiamati a gestire una quota di bilancio per la realizzazione di beni o servizi a favore della collettività, all’esperienza dei Patti di collaborazione, attraverso i quali amministrazione e cittadini regolamentano l’intervento concreto della popolazione nella cura di un qualsiasi bene comune, al Monitoraggio civico, tramite cui i cittadini diventano dei raccoglitori di dati, utilizzato soprattutto in ambito ambientale (citizen science).
Su Arpatnews in questi anni abbiamo spesso approfondito e raccontato gli strumenti messi in campo nella nostra regione, dove la partecipazione si applica principalmente a tre ambiti: il governo del territorio, per cui la partecipazione è definita nella Legge regionale 65/2014, le opere pubbliche, il cui strumento è il dibattito pubblico, e l’ambiente.
La Convenzione di Aarhus e la Convenzione europea del paesaggio sono i due capisaldi che hanno aperto la strada alla partecipazione con riferimento alla tutela degli interessi ambientali, ma un altro riferimento importante è il Green deal europeo, che afferma come “la partecipazione attiva dei cittadini e la fiducia nella transizione sono fondamentali affinché le politiche possano funzionare e siano accettate”, dimostrando come ambiente e partecipazione debbano necessariamente andare a braccetto. Accostare ambiente e partecipazione costringe a fare i conti con la realtà, l’ambiente vive nella comunità e attraverso le comunità che lo vivono e gli interessi ambientali sono trasversali.
Nonostante questo legame così indissolubile, l’esperienza è ancora oggi deludente e si registra una certa difficoltà della partecipazione nei processi decisionali ambientali. Proviamo a capire perché.
Quando si parla di partecipazione in campo ambientale pensiamo all’indissolubile rapporto tra scienza e tecnica da una parte e politica e amministrazione dall’altra, una relazione inscindibile e particolarmente complessa che dà esiti mai predeterminati e certi. In questo rapporto si misurano le difficoltà della scienza, la variabilità nel tempo delle conoscenze, che costringono ad un continuo processo di formazione della conoscenza, in cui sia contemplata anche l’incertezza. I dati oggetto di confronto non sono infatti certi, ma si tratta di valutazioni previsionali, inoltre risulta spesso difficile conciliare la partecipazione del cittadino comune con un livello di approfondimento tecnico specialistico richiesto dal tipo di progetto valutato.
Tutto questo si riflette nelle difficoltà della politica che è chiamata a gestire questa dinamicità ed incertezza, ad esprimere un giudizio basato su valutazioni tecniche e a fare scelte all’esito di processi decisionali.
Altra peculiarità di questo rapporto è il principio di precauzione che si impone sempre di più come frontiera della PA e che richiede di gestire rischi connotati da incertezza scientifica; il campo delle politiche ambientali è infatti campo della gestione degli impatti incerti. Ruolo specifico della politica è per l’appunto quello di acquisire il punto di vista della collettività prima ancora di scegliere come gestire il rischio, perché questa scelta è in funzione del grado di accettabilità sociale di quel rischio da parte della collettività.
Tra le difficoltà è opportuno citare anche quella relativa alla definizione dei “soggetti interessati”: i soggetti coinvolti non sono infatti solo quelli che vivono l’ambiente ma esistono anche soggetti esterni toccati dalle esternalità di un territorio, ci sono effetti di un ambiente su altri ecosistemi e quindi altri soggetti coinvolti. La partecipazione, pertanto, deve tener conto di tutti questi soggetti, perché non può essere discriminatoria.
La partecipazione in campo ambientale ha una varietà di strumenti, da quella spontanea, volontaria, a quella formale, strutturata. L’inchiesta pubblica, nello specifico, è lo strumento che il legislatore nazionale e regionale hanno stabilito per dibattere il progetto di un impianto o opera che necessita di autorizzazione ambientale. L’inchiesta è prima di tutto uno strumento di informazione e condivisione, di dialogo, di confronto, e il legislatore toscano ha costruito questo modello anche prima del nazionale. Ma questo modello, che in primis è utilizzato pochissimo rispetto a sue potenzialità, ha purtroppo dei limiti, essendo uno strumento parziale (vale solo per VIA) e lasciato alla libera valutazione dell’autorità competente.
Tra le difficoltà della sua applicazione in Toscana emerge come i suoi esiti siano di difficile gestione tecnica, come ad esempio la loro conciliazione con le successive fasi che la norma prevede; inoltre non è sempre facile individuare il soggetto a cui affidare l’incarico di presidente dell’inchiesta, figura fondamentale, che non deve necessariamente avere competenze tecniche, ma doti di mediazione e capacità di gestione dei conflitti e di garanzia di partecipazione da parte di tutti, compreso il proponente.
I procedimenti che ricorrono all'inchiesta riguardano spesso impianti di gestione rifiuti che raccolgono da parte dei cittadini preoccupazione per gli impatti sulla salute e questo rende ancora più difficile la gestione del confronto.
Un altro punto di debolezza è rappresentato dal fatto che l'inchiesta viene svolta a procedimento ormai troppo avanzato, il Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR) arriva all'inchiesta quando è quasi esecutivo, rendendo il processo partecipativo scarsamente efficace.
Dalla stessa esperienza toscana emergono però anche alcuni aspetti di sicura forza dell'inchiesta pubblica, come la possibilità offerta di assicurare informazione e trasparenza del processo ad una fetta molto ampia di cittadini e l'obbligatorietà per il proponente di fornire dati ambientali.
La pandemia ha offerto un importante momento di riflessione, ha accelerato il dibattito politico sulla rigenerazione del senso di comunità, sull'identità stessa di comunità e i processi partecipativi sono in questo senso uno strumento per rigenerare la comunità. La cittadinanza attiva deve diventare quindi attore e motore del cambiamento, bisogna però cambiare il concetto stesso di partecipazione, in cui il coinvolgimento e la coprogettazione avvengano prima dell'avvio del processo decisionale.
Tutto questo deve necessariamente essere incentivato perché è ormai chiaro come la partecipazione porti, per suo proprio metodo, a fare e fare bene, a concretizzare, perché va al cuore dei problemi e consente di fare emergere in modo reale le problematiche tecniche e le soluzioni progettuali, dando a tutti i soggetti esatta contezza delle questioni in gioco.
Per vedere i casi in cui è stata applicata l’inchiesta pubblica in Toscana, compresi tutti i relativi atti, è possibile consultare l'apposita sezione del sito Web della Regione.
Per approfondimenti guarda anche Governo del territorio, ambiente e opere pubbliche: la partecipazione come metodo
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