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Impatto ambientale - la marmettola

marmettola prodotta durante le fasi di taglioDurante l'estrazione del marmo si producono sostanzialmente due tipi di materiale:

  • terre di natura pedologica, da scavare per raggiungere il giacimento marmifero;
  • marmettola, la polvere di marmo, risultante dall'estrazione, dalla lavorazione e dalla segagione del materiale.

La marmettola è un materiale prodotto dalle lavorazioni della pietra, residuo dall'attività di estrazione e/o segagione delle pietre naturali, in questo caso marmo. Di colore bianco si può presentare come una polvere anche impalpabile, nel caso di taglio a secco o come fango palabile. All'origine, il fango è composto da acqua, da particelle molto fini di marmo (carbonato di calcio pressoché puro) a cui possono aggiungersi tracce di terriccio, di oli e/o grassi vegetali utilizzati per lubrificare/raffreddare gli utensili di taglio, di idrocarburi fuoriusciti accidentalmente dalle macchine di lavorazione nonchè di metalli derivanti dagli utensili di taglio (tagliatrice a catena, filo diamantato).

Una delle questioni prioritarie è quella della corretta identificazione della marmettola come rifiuto o come sottoprodotto: infatti in linea di principio i materiali residui non devono essere tout court classificati come rifiuti, potendo assumere la qualifica di sottoprodotto quando possono trovare utilizzo in altri cicli di lavorazione e sono in grado di soddisfare tutti i requisiti di cui all’art. 184 bis del D.Lgs 152/2006. Occorre tuttavia sottolineare che ad oggi, in fase di controllo, non sono mai state riscontrate le condizioni che consentirebbero di attribuire a tale rifiuto la qualifica di sottoprodotto tanto che l’eventualità pare confinata ad un piano teorico dottrinale. A riguardo pare anche utile ricordare che la norma sui sottoprodotti è disciplina che introduce un regime gestionale in condizioni di favore: ne consegue che l'onere di dimostrare l'effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge ricade su colui che la invoca.
In mancanza anche di una sola delle condizioni previste dalla norma il materiale rimane soggetto alle disposizioni sui rifiuti (ass. Sez. III n. 47085, 19/12/2008) e deve essere classificato con il codice "CER 01 04 13 - rifiuti prodotti dalla lavorazione della pietra, diversi da quelli di cui alla voce 01 04 07".
La marmettola prodotta dall'attività di estrazione e lavorazione nel distretto Apuo-Versiliese, che appare gestita come rifiuto, ammonta a poco più di 200.000 t/anno negli anni 2012-2015 e risulta inviata per la maggior parte, tramite ditte autorizzate al trattamento dei rifiuti, presso lo stabilimento di Scarlino (GR) della Huntsman Tioxide, che la utilizza nelle fasi produttive come agente neutralizzante degli effluenti acidi. Altre possibili destinazioni riguardano impianti autorizzati in procedura semplificata secondo quanto previsto dal DM 05/02/98, quali: cementifici, utilizzo per edilizia, opere civili, industria e recuperi ambientali.
Il quantitativo complessivo di marmettola desunto dalle dichiarazioni MUD relative alle attività estrattive e di trasformazione dell’intero comprensorio Apuo-Versiliese è tale da rendere presumibile che un importante quantitativo di marmettola non venga gestito. Infatti il rifiuto marmettola - che deve essere raccolto all'origine per essere recuperato-trattato ovvero smaltito secondo quanto previsto nell’autorizzazione - non di rado e anche in ingenti quantità, risulta abbandonato nell’ambito dell’area di cava, e resta esposto all’azione degli agenti atmosferici meteorici generando un notevole impatto sull’ambiente, in particolare sulla risorsa idrica. La mancata gestione della marmettola pare trovare conferma nella condizione dei fiumi della zona che periodicamente evidenziano fenomeni di intorbidimento

corso d'acqua reso torbido dalla marmettola.gifLa presenza di marmettola e terre di cava determina un significativo degrado qualitativo dei corpi idrici. L'inquinamento delle acque sotterranee e delle sorgenti, in buona parte captate a scopo idropotabile, sebbene sia ancor più grave di quello delle acque superficiali, è meno percepito, perché non direttamente visibile.
Le sorgenti con torbidità contenuta sono potabilizzate da idonei filtri mentre quelle caratterizzate da elevata torbidità vengono temporaneamente escluse dalla rete acquedottistica. È opportuno ricordare che ai sensi del Testo Unico Ambientale devono essere sottoposte a misure di salvaguardia non solo le sorgenti captate ma anche quelle potenzialmente captabili.

A tutela dei corpi idrici è possibile – oltre che necessario - prescrivere a tutte le cave l’adozione di accorgimenti relativi alla gestione delle acque meteoriche di dilavamento. La LR 20/2006 ed il relativo regolamento di attuazione n. 46r/2008 dettano, in attuazione dell’art.113 del D.Lgs 152/2006, la disciplina delle acque meteoriche. In particolare l’art. dispone:

  • che le acque di dilavamento e di ruscellamento dei siti di cava debbano essere regimate in modo da ridurre il rischio di trasferimento di solidi sospesi ai corpi idrici;
  • che le opere di regimazione delle acque di dilavamento debbano essere previste e descritte in uno specifico Piano, da predisporre a cura del richiedente l’autorizzazione alla coltivazione della cava stessa, e che queste siano realizzate prima o durante l’esecuzione delle lavorazioni.

Nel 2015 le competenze ambientali della Provincia sono passate alla Regione Toscana, in materia di cave la legge regionale 35/2015 prevede un’autorizzazione unica rilasciata dal Comune per le cave ordinarie,  che comprende anche l’approvazione del piano di gestione delle acque meteoriche dilavanti. Il piano di gestione delle acque meteoriche  dilavanti deve essere conforme ai criteri fissati nel regolamento 46/R  del 2008 e smi attuativo della LR 20/2006 e smi ed una volta approvato diventa un documento cogente per l’attività della cava.

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