Macrofite
Le macroalghe sono alghe pluricellulari, quindi ben visibili a occhio nudo. Insieme alle praterie di posidonia e ad altre fanerogame acquatiche, sono la componente vegetale macroscopica degli ecosistemi marini, e svolgono un ruolo importante per l’ossigenazione delle acque e la produzione di sostanza organica, oltre a essere un anello fondamentale della catena alimentare marina e litoranea.
A differenza della Posidonia, che cresce soprattutto sulla sabbia, le macroalghe sono tipiche dei fondali rocciosi. In quanto specie incapaci di spostarsi e quindi allontanarsi da una fonte di disturbo, rispondono ai cambiamenti delle condizioni ambientali in tempi abbastanza brevi e sono quindi particolarmente adatte al monitoraggio degli ecosistemi costieri. In particolare, le specie più indicate per questo tipo di studio sono quelle presenti nella zona di battigia che, essendo una fascia di confine tra gli habitat marini e terrestri, è quella più sensibile alle pressioni antropiche.
Secondo la Direttiva Quadro sulle acque, le macroalghe sono uno degli elementi di qualità biologica (EQB) da valutare per verificare lo stato ecologico delle acque marino-costiere. ARPAT quindi effettua monitoraggi periodici che ne descrivono lo stato tramite l’indice CARLIT.
La vegetazione delle scogliere marine superficiali
Le macroalghe sono organismi vegetali privi di tessuti specializzati come foglie e radici, ma comunque dotati di clorofilla e altri pigmenti in grado di svolgere la fotosintesi e quindi produrre ossigeno. In base al tipo di pigmento fotosintetico dominante, sono suddivise in alghe verdi, brune e rosse.
Ciascun gruppo di specie è distribuito lungo fasce diverse di profondità, fino al limite massimo di circa -150 m, oltre cui la quantità di luce che riesce a penetrare non è più sufficiente per il processo di fotosintesi. Le specie più utilizzate per i monitoraggi marini sono tuttavia quelle della fascia in cui si ha un’alternanza di emersione e immersione, dovuta all’escursione di marea e all’azione del moto ondoso. Nel Mediterraneo, questa zona va da 20 cm sopra il livello medio del mare fino a circa -50 cm di profondità.
Ciascuna specie di alghe ha uno specifico intervallo di tollerabilità ai diversi fattori ambientali, entro cui si colloca il suo optimum ecologico e fisiologico. Più specie con gradi di tollerabilità simili possono coesistere nello stesso ambiente, raggiungendo un buon equilibrio. Ciò fa sì che in una certa zona si sviluppi un determinato tipo di vegetazione, con proprie specie caratteristiche e un certo grado di stabilità nel tempo. Cambiamenti drastici delle condizioni ambientali possono stravolgere questo equilibrio e alterare la composizione in specie della flora locale.
In condizioni di equilibrio ambientale, su scogliere a forte pendenza ed elevata energia del moto ondoso, la fascia subito al di sopra del livello medio del mare è normalmente colonizzata da alcune specie di alghe, dette corallinacee, le cui cellule contengono carbonato di calcio o aragonite e il cui accrescimento determina la formazione di strutture a terrazza molto rigide, simili a veri e propri marciapiedi costieri, denominati trottoir. Nei nostri mari, le specie dominanti di queste strutture sono Lithophyllum byssoides e Lythophyllum trochanter.
Sempre in assenza di pressioni ambientali, la zona sommersa delle scogliere è invece normalmente dominata da varie specie di alghe brune appartenenti al genere Cystoseira che crescono in modo fitto e rigoglioso, creando fasce di vegetazione molto dense, alte fino a 40 cm.
Importanza ecologica
In quanto organismi fotosintetizzanti, le macroalghe, insieme al fitoplancton, sono uno dei gradini di partenza della piramide alimentare e sono fonte di nutrimento per molte altre specie, soprattutto di pesci e crostacei. La loro attività fotosintetica incide inoltre sull’ossigenazione e la disponibilità di sostanza organica
Le macroalghe possono avere però anche un ruolo “strutturale”, legato alla particolare modalità di accrescimento delle specie. Quando tendono a formare fronde particolarmente dense ed estese, come nel caso della Cystoseira, oppure si accrescono per deposizione di carbonato di calcio (Corallinales), la vegetazione si trasforma in un complesso di microhabitat diversi. I volumi d’acqua intrappolati fra le fronde o tra gli strati calcarei attraggono molte specie animali di piccole dimensioni, che qui riescono a trovare riparo dalle correnti e protezione contro i predatori. I tessuti stessi delle macroalghe diventano inoltre un’estesa superficie di ancoraggio per altre specie vegetali di dimensioni più piccole.
I cistoseireti e i trottoir sono quindi ambienti marini con un grado di biodiversità molto elevato. Sono però estremamente sensibili alle perturbazioni antropiche e, come tali, sono degli ottimi bioindicatori. La presenza o l’assenza di determinate specie, o gruppi di specie, può essere infatti correlata con alcune caratteristiche dell’ambiente o con la presenza di eventi di disturbo.
Pressioni
Le pressioni antropiche che incidono negativamente sulla vegetazione marina sono quelle connesse all’urbanizzazione della costa, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento, nelle sue varie forme.
Gli scarichi civili e industriali depositano nell’ambiente sostanze inquinanti in grado di accumularsi nei tessuti vegetali ed essere poi trasportate lungo la catena alimentare. Gli sversamenti aumentano inoltre l’eutrofizzazione costiera, riducendo la trasparenza delle acque e quindi la capacità di penetrazione della luce. Di conseguenza, le specie tipiche di ambienti luminosi vengono sostituite da altre specie, più amanti dell’ombra.
Sulla trasparenza delle acque possono incidere anche le opere ingegneristiche marine, come porti, moli e barriere frangiflutti che, durante le fasi di costruzione o manutenzione, possono alterare il regime idrodinamico costiero, aumentando il tasso di sedimentazione nelle acque e producendo talvolta anche l’insabbiamento della vegetazione.
A ciò si aggiunge il cambiamento climatico che, con il progressivo riscaldamento delle acque, favorisce l’insediamento di specie alloctone più competitive, in grado di minacciare la sopravvivenza di quelle locali.
In generale, le perturbazioni antropiche provocano alterazione della composizione specifica della flora e diminuzione della biodiversità. Le specie più sensibili vengono lentamente sostituite da specie con livelli di tollerabilità crescenti, spesso con uno stile di crescita Invasivo. Tali alterazioni della composizione in specie possono avere ripercussioni anche complesse su una determinata zona, incidendo su diversi aspetti dell’equilibrio ecologico, come la competizione fra specie o la predazione.
Lungo le nostre coste, uno dei primi segnali di stress ambientale su fondali rocciosi superficiali è la progressiva scomparsa dei trottoir e la rarefazione di Cystoseira amentacea e Cystoseira mediterranea. A livelli di disturbo crescente, queste due specie vengono gradualmente sostituite da Cystoseira compressa, oppure da altre specie ancora più tolleranti, come Corallina elongata, Dictyota dichotoma, Padina pavonica, Dictyopteris membranacea, Halopteris scoparia e Pterocladiella capillacea. Quando lo stress ambientale è particolarmente elevato compaiono specie opportuniste come Ulva laetevirens e Cladophora e, nei casi più critici, le alghe possono scomparire quasi del tutto ed essere sostituite da varie specie di cianobatteri.
Dati
Come per il macrozoobenthos e le angiosperme il campionamento ha cadenza triennale.
Nel 2019 sono state monitorate 3 stazioni, tutte appartenenti al corpo idrico Arcipelago Isole Minori: le restanti stazioni verranno campionate, come da programma, nel resto del triennio 2019-2021. In tutte le stazioni la classe di qualità ambientale relativo all'indice CARLIT è risultata essere "Elevata"
Tab.1 RQE relativi e stato ambientale relativo all’indice CARLIT - Anno 2019
Struttura della comunità macroalgale in percentuale di riempimento - Anno 2019