Strategia Marina: presentati da SNPA i risultati delle attività di monitoraggio dell’ambiente marino
ARPAT è intervenuta al convegno dedicato ai risultati delle attività di monitoraggio dell'ambiente marino con il Sistema nazionale per la protezione ambientale, costituito da ISPRA e dalle ARPA
ARPAT ha partecipato a Palermo a due eventi dedicati all’ambiente marino:
- Un Mediterraneo di biodiversità, promosso da ARPA Sicilia, che ha puntato i riflettori sul tema degli habitat marino-costieri, nell’ambito del Progetto Corallo finanziato dal programma INTERREG VA Italia-Malta,
- Strategia Marina, il monitoraggio dei mari italiani, organizzato dal Sistema nazionale per la protezione ambientale, in cui sono stati presentati i risultati di alcune tra le più rilevanti attività di monitoraggio dell’ambiente marino secondo le indicazioni della Direttiva sulla Strategia Marina 2008/56/CE.
La Direttiva Strategia Marina è il pilastro ambientale della politica marittima dell’Unione e mira al raggiungimento del “buono stato ambientale” per tutte le acque marine degli Stati membri UE. L’attuazione in Italia, coordinata dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, è supportata da SNPA- Sistema nazionale per la protezione ambientale – costituito da ISPRA e dalle ARPA – e vede il coinvolgimento delle amministrazioni centrali, delle Regioni, degli enti locali, nonché delle Università e degli altri Enti di ricerca.
In rappresentanza dell’Agenzia erano presenti al convegno sulla Strategia marina il Direttore generale Pietro Rubellini e il Direttore tecnico Marcello Mossa Verre, insieme ai rappresentanti delle Agenzie ambientali regionali costiere.
Durante il convegno sono stati presentati i risultati di una selezione degli 11 Descrittori qualitativi utilizzati dalla Strategia Marina per definire lo stato ambientale dei mari, in particolare: Posidonia oceanica, specie non indigene (aliene), eutrofizzazione, rifiuti marini e fondi duri.
Le attività svolte nei 31 programmi di monitoraggio per i vari descrittori, portate avanti nelle tre sotto-regioni del Mediterraneo (Mediterraneo occidentale, Mar Ionio e Mediterraneo centrale, Mar Adriatico), rispondono a metodologie di campionamento e analisi che sono le stesse in tutto il territorio nazionale, a garanzia della piena confrontabilità dei dati.
Per ARPAT è intervenuto il Direttore tecnico, Marcello Mossa Verre, nel tavolo dedicato ai rifiuti marini ed in quello sui fondi duri.
Per quanto riguarda i rifiuti spiaggiati l’Unione Europa ha individuato un target da non superare, per un buono stato ambientale, ossia non oltre 20 rifiuti presenti sugli arenili ogni 100 metri. In Italia, dai dati raccolti nel monitoraggio dal 2015 al 2021, si osserva una riduzione significativa pari a quasi la metà dei rifiuti spiaggiati sugli arenili ogni 100 metri: dai 460 del 2015 sono 273 nel 2021, ma comunque ancora lontano dall’obiettivo europeo.
Per quanto riguarda i rifiuti in acqua, nel periodo 2018-2022 si registra una densità costiera media di 105 oggetti per chilometro quadrato e una densità media offshore di 3 oggetti. Più dell’80% degli oggetti monitorati è composto da polimeri artificiali, di cui circa il 20% sono plastica monouso.
I microrifiuti – precisa l’Agenzia - sono essenzialmente costituiti da microplastiche, ossia frammenti di materiale plastico le cui dimensioni sono comprese tra 330µm e 5 millimetri. Queste particelle possono essere prodotte direttamente in dimensioni microscopiche (origine primaria), ad esempio pellet (materia prima per la produzione di oggetti in plastica) o contenute nei cosmetici (adesso banditi dalle recenti norme), oppure originate in seguito a processi di frammentazione di oggetti di dimensione maggiori (origine secondaria) in conseguenza dell’azione di onde, vento, sole.
Dall’elaborazione dei dati effettuati per il periodo 2015-2021 per le 3 sottoregioni - Mediterraneo occidentale, Mar Ionio e Mediterraneo centrale, Mar Adriatico - il valore mediano di densità delle microparticelle presenti nelle superfici dei nostri mari è di 0,04 su m2 , ossia 40.000 microparticelle su km2. A titolo esemplificativo, è come se in un appartamento di 100 m2 si trovassero 4 rifiuti, dato che potrebbe sembrare tranquillizzante ma, in realtà, occorre tenere presenti i rischi di accumulo nelle reti trofiche per ingestione da parte degli organismi marini, fino al consumatore finale, l’uomo, oltre al fatto che le particelle possono essere veicolo di agenti patogeni.
Per campionare questi microrifiuti, nell’ambito della Strategia Marina sono previsti 2 campionamenti all’anno (solitamente aprile e ottobre) in transetti con 3 stazioni a 6, 1.5 e 0.5 miglia nautiche dalla costa. Lo strumento campionatore è il retino manta, dotato nella parte terminale di un bicchiere per la raccolta del campione. Il retino è trainato ad una velocità non superiore a 3 nodi per 20 minuti in direzione contraria alla corrente predominante. In laboratorio il campione viene osservato al microscopio per la separazione per forma (filamento, frammento, foglio, foam, granulo, pellet), per il colore (bianche, nere, rosse, blu, verdi e altro colore), opacità o trasparenza. Dal tratto percorso e dalla misura dell’apertura della bocca del retino si stima la superficie campionata risalendo così al parametro “n. oggetti/m2 per forma e colore”.
Le informazioni così raccolte in termini di distribuzione, composizione e andamento delle abbondanze possono consentire di avere un quadro di evoluzione nel tempo ponendo magari anche l’attenzione a specifici fattori locali per giungere ad una minimizzazione delle particelle in mare.
Un altro focus importante è stato dedicato ai fondi duri, substrati rocciosi su cui si insediano una serie di specie di alto pregio ambientale che appartengono a quelle biocenosi che popolano i nostri mari, come il coralligeno, che ha un elevato valore dal punto di vista della biodivesità.
Con il monitoraggio previsto dalla Strategia Marina, nell’ambito del Descrittore 1 dedicato alla biodiversità, sono state censite formazioni coralligene in 8 regioni italiane e 160 siti oggetto di studio tra cui: Eunicella, Pentapora e Paramuricea i nomi scientifici (generi) delle principali specie target osservate nei fondali. In 9 regioni sono presenti anche “letti a rodoliti”, nei fondi mobili, formati a partire da piccole alghe calcaree simili nella forma ai popcorn, rinvenute in 37 aree di monitoraggio.
L’attività scientifica è molto complessa perché le profondità a cui si opera vanno da qualche decina di metri sino a 120 metri e negli ultimi 8 anni gli sforzi del Sistema Agenziale hanno consentito di raggiungere un importante standard qualitativo (know-how scientifico e tecnologico con professionalizzazione di operatori esperti) registrando di fatto che numerose Agenzie Regionali ad oggi operano “in house” con risultati veramente sorprendenti.
Tra le principali minacce per le specie che popolano questi fondali ci sono quelle “meccaniche”, come le reti a strascico impiegate nell’attività di pesca e anche l’attività subacquea invasiva, l'immersione di rifiuti e gli impatti da presenza di infrastrutture sottomarine.
Più complesso è invece il meccanismo legato ai cambiamenti climatici che possono agire in vario modo sul coralligeno. Infatti un innalzamento della temperatura per periodi prolungati può causare la morte di organismi stenotermi sessili (che vivono ancorati ad un substrato ed hanno difficoltà ad adattarsi a temperature diverse) sia direttamente, sia favorendo il proliferare di patogeni. Il danneggiamento delle specie erette del coralligeno ha poi diversi effetti: non garantendo la protezione delle alghe corallinacee impedisce l’attività di questi “biocostruttori” del coralligeno stesso ed allo stesso tempo lascia spazio alla diffusione di altre specie, particolarmente invasive, fra le quali l’alga verde Caulerpa cylindracea (vedi immagine a fianco). Infine, l’aumento di temperatura delle acque, insieme all’incremento della concentrazione dei nutrienti dovuto alla presenza di acque reflue urbane, agricole e industriali, favorisce la proliferazione di alghe filamentose che creano difficoltà per l’alimentazione e la riproduzione delle specie costituenti il coralligeno.
D’altro canto, l’incremento di anidride carbonica nell’atmosfera determina un aumento di concentrazione della stessa anche nelle acque marine. La CO2 disciolta nel mare ha la tendenza a reagire chimicamente con l’H2O formando altri composti e provocando un aumento dell’acidità delle acque. Questo decremento del pH può avere gravi conseguenze per gli ecosistemi marini in quanto può limitare la disponibilità di carbonato di calcio, minerale fondamentale per la composizione di scheletri di molte specie costruttrici, comprese le alghe coralline con il risultato di necrosi e morte.
Il meccanismo è complesso per cui il monitoraggio è importantissimo per capire cosa si può fare nel tempo per sopperire a queste situazioni; si può agire più facilmente sui comportamenti umani regolamentando meglio e limitando certe attività (ancoraggi, attività diving intensa e pesca) mentre, essendo più complesso il meccanismo legato al cambiamento climatico, occorre agire a livello più alto con politiche adeguate alla gestione dello stesso in un ambito più generale.
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