ARPAT contribuisce al progetto CO2 PACMAN
Le informazioni ambientali in possesso dell’Agenzia, come i dati sulla Posidonia oceanica, possono supportare il progetto volto a raggiungere la neutralità carbonica in alcune isole del Mediterraneo
ARPAT ha partecipato al terzo Rooting Lab del progetto CO2 PACMAN (COoperation and CO-designing PArtnership for CliMAte Neutrality), intervenendo sia all’iniziativa organizzata a Portoferraio, all’Isola d’Elba, che a Firenze. In entrambi gli incontri, si è parlato di economia “carbon neutral” per le isole del Mediterraneo con l’obiettivo di raggiungere un impatto neutro, producendo zero emissioni nette di CO2, come previsto dall’Unione Europea.
Sappiamo, infatti, che il Mediterraneo è un’area alquanto vulnerabile, un vero hotspot per l’innalzamento delle temperature e gli eventi estremi che si manifestano con sempre maggiore frequenza, minacciando non solo l’ecosistema ma anche la biodiversità nonché la capacità di produrre cibo e la sicurezza energetica.
L’obiettivo del progetto Interreg Euro-Med CO2 PACMAN è, quindi, quello di rendere i territori climaticamente neutri e promuovere la sostenibilità e la resilienza delle comunità, supportando gli amministratori locali, i cittadini e tutti i portatori di interesse affinché, insieme, sviluppino e incrementino strategie per la mitigazione dell’impronta carbonica.
ARPAT partecipa al progetto, fornendo un contributo esterno; tra i partner, due Università toscane, Firenze e Siena con cui l’Agenzia ha stipulato accordi di collaborazione. L’Agenzia può, quindi, supportare questo progetto, fornendo i dati ambientali in suo possesso, come ha sottolineato Pietro Rubellini, in occasione dell’incontro tenutosi a Firenze, il 13 febbraio 2025, definendo bonariamente ARPAT “un’agenzia malata di dati ambientali”, sempre alla ricerca di sinergie per dare lettura e concretezza alla mole di dati che vengono raccolti con le attività quotidiane del personale agenziale e resi pubblici con l’Annuario dei dati ambientali della Toscana. Si tratta di un rapporto che raccoglie molte informazioni ambientali che possono essere utilizzate, in primis, dai decisori politici, per valutare lo stato dell’ambiente in Toscana.
Dalla raccolta costante di dati ambientali – ricorda Rubellini – emerge un peggioramento sia quantitativo che qualitativo di alcune matrici ambientali dovuto anche agli effetti del cambiamento climatico.
ARPAT, insieme alle altre agenzie per la protezione ambientale presenti sul territorio nazionale, unite nel sistema nazionale di protezione ambientale (SNPA), stanno portando avanti un lavoro molto interessante per comprendere come i cambiamenti climatici incidano sulla qualità delle matrici ambientali. Gli effetti quantitativi sono più facilmente rilevabili, talvolta visibili, mentre quelli qualitativi risultano più difficili e più difficilmente compensabili nel tempo.
Il Direttore, ricorda anche il professor Maracchi, che, già diversi anni fa, con il modello convettivo a celle nell’atmosfera, aveva previsto che l’aumento dell’energia avrebbe allargato la cella equatoriale impedendo all’anticiclone delle Azzorre di posizionarsi in modo stabile sul Mediterraneo nella stagione estiva come accadeva da milioni di anni.
Questo comporta - continua Rubellini - che l’Europa e il nostro paese risultano colpite dal forte caldo africano, che, nei periodi estivi, determina temperature elevate anche di notte con assenza di escursione termica tra il giorno e la notte. Questa situazione carica di energia gli strati più bassi dell’atmosfera e il mare, che registra temperature sempre più alte. All’inizio dell’autunno, poi, questo sovraccarico di energia scatena fenomenologie estreme e condensate. Le piogge, spesso di breve entità, ma intense, alternate a periodi estivi caratterizzate da forte siccità, sono quindi le due facce della stessa medaglia. In più, - aggiunge il Direttore - le forti precipitazioni di breve durata non vengono assorbite dal suolo, l’acqua rimante a livello superficiale e non si infiltra, non ricaricando le falde idriche con conseguenti problemi di bilanciamento tra la ricarica e lo sfruttamento della risorsa idrica.
Pietro Rubellini porta anche un esempio concreto degli effetti qualitativi del cambiamento sulle matrici ambientali: in Val di Cornia, l’agricoltura utilizza molto acqua per le proprie colture, per lo più ortaggi, in questa zona si era trovato un equilibrio tra il pompaggio e la ricarica della falda, ma, negli ultimi anni, si è assistito ad un depauperamento della falda dovuto all’effetto over-pumping che ha causato un maggiore ingresso in falda del cuneo salino, con un peggioramento qualitativo della risorsa idrica. Irrigando con acqua mediamente salina, si provoca, nel tempo, la salinizzazione del suolo, che diviene non idoneo alla coltivazione.
Sempre di più, quindi - conclude il Direttore di ARPAT – sarà necessario mettere in atto politiche e adottare azioni tese a raggiungere la neutralità carbonica, come sta cercando di fare il progetto CO2 PACMAN; solo così potremo rallentare le estremizzazioni dei fenomeni meteorologici a cui assistiamo con sempre maggiore frequenza.
L’11 febbraio 2025, invece, all’incontro organizzato all’Isola dell’Elba, l’Agenzia, rappresentata dal dirigente dell’Area Mare, Antonio Melley, ha focalizzato la sua attenzione sull’importanza di una buona gestione della Posidonia oceanica affinché questa pianta possa svolgere una delle sue funzioni, ovvero quella di stoccaggio della CO2.
Melley, nel suo intervento, si è soffermato anche sulla “blue carbon” su cui, ISPRA ed altre Agenzie ambientali, stanno lavorando, all’interno del progetto Sea Forest LIFE.
La Posidonia oceanica ha la capacità di accumulare carbonio negli apparati radicali, rendendolo in gran parte inutilizzabile dal resto dell’ecosistema e, quindi, immagazzinandola. Da qui l’importanza di monitorarla, come sta facendo ARPAT davanti alla costa toscana, verificandone lo stato per mantenere in salute quella ancora esistente.
Nel tempo, si è avuta una riduzione della prateria di Posidonia oceanica. Ad esempio, davanti a Livorno, sono stati realizzati, nel corso del tempo, una serie di interventi (canale scolmatore, canali industriali, infrastrutture portuali e urbane, ecc.) che hanno alterato la linea di costa e le dinamiche litorali (correnti, trasporto solido, trasparenza, immissione e dispersione degli inquinanti, ecc.), fattori che hanno portato ad una distruzione o degrado di oltre 7 kmq dei posidonieti antistanti. Dalle mappe, infatti, sui fondali più prossimi al porto di Livorno risulta la presenza di una prateria un tempo molto più estesa e fiorente, di cui, ora, sono rimasti solo alcuni residui (matte morta o degradata). Questo significa avere perso la possibilità di avere un sequestro di oltre 10.000 tonnellate di carbonio all’anno.
Purtroppo, quanto rilevato a Livorno non è un fatto isolato e le praterie di Posidonia oceanica, pianta endemica del Mediterraneo e protetta dalla direttiva Habitat, si sono progressivamente ridotte a causa dell’impatto antropico lungo tutte le nostre coste. Tali perdite non sono più recuperabili, se non in piccole zone dove si possono realizzare progetti di re-impianto, dato che i fattori di degrado continuano ad agire nelle maggior parte delle aree di mare. Il nostro impegno, quindi, deve essere quello di preservare le praterie di Posidonia, monitorando quelle esistenti e promuovendo azioni e misure che migliorino le condizioni dell’ambiente marino costiero di tutta la Toscana.