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Inquinamento atmosferico: il punto di vista del CNR

13/06/2024 11:00

Intervista ad Adriana Pietrodangelo, referente dell’area tematica Aria Ambiente dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR

Inquinamento atmosferico: il punto di vista del CNR

Adriana Pietrodangelo - Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR

Abbiamo rivolto qualche domanda ad Adriana Pietrodangelo, referente dell’area tematica Aria Ambiente dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR (CNR-IIA) e vicepresidente della IAS -Società Italiana di Aerosol. Laureata in Chimica con dottorato in Chimica Analitica dei Sistemi Reali e due Master in Inquinamento in Ambiente Urbano e Domestico e Tecniche di Comunicazione della Scienza, Adriana Pietrodangelo è responsabile scientifico per il CNR-IIA del Centro Nazionale sulla Biodiversità – NBFC, finanziato con fondi del PNRR/Next Generation EU, e di importanti progetti di ricerca e di alta consulenza; vanta una consolidata esperienza nel campo dell’identificazione e quantificazione delle sorgenti di emissione degli inquinanti aerodispersi.


Per conoscere il fenomeno dell’inquinamento atmosferico ed i suoi effetti sulla salute umana è importante studiare la caratterizzazione degli inquinanti. Quale possibile ruolo possono giocare in questo campo le nuove tecnologie?

Le nuove tecnologie permettono, in generale, di effettuare misure ad una migliore e maggiore risoluzione, sia spaziale che temporale. Permettono ad esempio di evidenziare se ci sono delle sorgenti specifiche che emettono solo in alcuni momenti della giornata o in alcuni periodi e di localizzare in quali punti dell’area in studio agiscono, laddove l’azione di queste sorgenti non sarebbe riconoscibile da misure mediate su più ore nello stesso giorno o su più giorni.

Ci sono strumenti in grado di valutare la composizione chimica del particolato atmosferico a risoluzione temporale di 1 o 2 ore e questo è un valore aggiunto nell’investigazione ambientale, soprattutto per quanto riguarda le particelle sospese (PM10 o PM2.5), ed altri strumenti ad alta risoluzione temporale che analizzano i gas o i vapori organici. Oggi, però, sono ancora pochi i gruppi di ricerca che hanno queste strumentazioni perché in generale molto costose.

Il nostro Istituto ha anche un settore che lavora sui droni e quindi sulla rilevazione della superficie terrestre da altezze medie (circa 30 metri). I droni sono uno strumento molto versatile perché montano a bordo sensori sia di tipo termico che multispettrale e questo permette di caratterizzare il territorio, identificando ad esempio materiali costruttivi specifici (es. amianto), e ricostruire di conseguenza mappe informative tridimensionali dove in uno stesso punto si riescono a concentrare più informazioni (meteo, territorio, inquinanti), per poter intervenire in maniera più complessa su un eventuale impatto ambientale di fattori locali.

L’ultimo settore che stiamo sviluppando e che risulta molto importante è quello dell’osservazione della terra da satellite, su cui anche le Agenzie spaziali italiana ed europea stanno investendo moltissimo. I satelliti montano a bordo sensori che rilevano dati colonnari, cioè che riescono a vedere un dato inquinante o parametro ambientale lungo tutta la colonna atmosferica con una risoluzione spaziale che va da 1 km a più kilometri.

L’obiettivo futuro è quello di utilizzare i dati di rilevazione satellitare per limitare l’uso della strumentazione a terra, più costosa in termini di manutenzione e risorse di personale dedicato. Su questo fronte, però, siamo abbastanza agli inizi perché i dati satellitari non restituiscono direttamente il dato in concentrazione, cioè in quantità di inquinante nel volume d'aria; misurano invece altri parametri fisici che vanno poi relazionati alla concentrazione e queste relazioni non sono immediate.

Le micro-nano-plastiche sono inquinanti emergenti e quelle disperse in aria sono in grado di arrivare per inalazione agli alveoli polmonari e quindi anche alle cellule. Ci sono studi in corso da parte dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR?

Proprio in questo periodo è in corso il progetto BRIC CELLOPHAN “Caratterizzazione delle Emissioni in Luoghi di LavorO di microPlasticHe Aerodisperse e Nanoplastiche”, finanziato dall'Inail, che è finalizzato alla caratterizzazione e quantificazione delle micro e nano plastiche aerodisperse in ambienti di lavoro.

Non parliamo qui di micro e nano plastiche ingegnerizzate, cioè prodotte apposta per essere poi utilizzate in altri materiali e altre produzioni industriali, ma di quelle secondarie, generate come sottoprodotto della lavorazione di materiali polimerici, pneumatici ed altri materiali plastici. Il progetto è finalizzato anche alla messa a punto di una metodica analitica per l'analisi delle micro-nano plastiche (MNP) aerodisperse; infatti, mentre i metodi analitici sulle MNP sono molto più diffusi per le acque e il suolo, quelli per le MNP nell’aria, sia in ambienti aperti che chiusi (case, luoghi di lavoro, etc.), richiedono ancora molta ricerca.

Gli approcci sia di campionamento sia di determinazione analitica in laboratorio delle microplastiche aerodisperse sono attualmente molto diversi tra loro e quindi i risultati sono poco confrontabili: questo è il motivo per cui vengono finanziati progetti di questo tipo, con l’obiettivo di creare una base scientifica supportata appunto da dati sperimentali solidi, per poi più avanti ragionare anche di norme per la protezione dei lavoratori in ambienti di lavoro dove si generano micro-nano plastiche secondarie. Infatti, la normativa esiste già per quelle industrie dove si producono micro e nano plastiche ingegnerizzate, mentre mancano norme riferite agli ambienti di lavoro in cui si generano MNP secondarie disperse in aria.

Il CNR-IIA ha comunque una propria linea di ricerca sulle MNP. Vengono generate in laboratorio delle polveri di micro e nano plastiche provenienti da materiali di uso comune, soprattutto bottiglie di plastica e altri contenitori plastici dispersi in ambiente. Simuliamo sia la frammentazione meccanica (ad es. frantumazione di oggetti plastici abbandonati in ambiente, per azione della falciatrice), sia l’azione di fattori ambientali che possono giocare un ruolo diverso rispetto alla frammentazione meccanica (vedi ad esempio la degradazione termica), per poi studiare le capacità di risospensione delle diverse polveri.

Il traffico veicolare è la principale fonte di inquinamento atmosferico in ambito urbano: quali azioni su questo versante si rendono sempre più urgenti per rendere le nostre città più vivibili e attente al benessere e alla salute dei cittadini?

La situazione varia certamente da regione a regione, da città a città. Ma se parliamo di città con un impatto antropico medio-alto, quindi di città grandi, nel tempo abbiamo potuto valutare come uno degli investimenti principali che andrebbe fatto a livello comunale, se non regionale, sia quello sulla rete tranviaria o sulla ferrovia leggera. Oggi si sta investendo un po’ dappertutto nel trasporto pubblico elettrico, in particolare sui bus elettrici, che sicuramente alleggeriscono l'impatto delle emissioni da combustione veicolare, ma che non alleggeriscono invece il carico delle polveri stradali da risospensione.

Queste derivano dall'abrasione delle parti meccaniche dei veicoli, soprattutto freni, ma non solo, che si verifica durante la percorrenza dei veicoli su strada, e la risospensione è maggiore per i veicoli più grandi. Queste polveri vengono considerate meno importanti perché meno nocive di altre componenti delle polveri sospese. In realtà molte di queste polveri sono metalliche e hanno un impatto importante sulla salute: una parte di esse si trova nel PM2.5, quindi si tratta di polveri in grado di arrivare in profondità nel sistema respiratorio (bronchi, polmoni) e, a lungo andare, in grado di generare processi infiammatori a livello di tessuti polmonari.

Quindi sarebbe molto meglio investire su una rete tranviaria estesa, il più possibile diramata, così da servire la maggior parte delle persone e permettere loro di non utilizzare la macchina.

Il nostro stile di vita può incidere molto sulla qualità dell’aria che respiriamo e il coinvolgimento dei cittadini è quindi fondamentale per operare una reale transizione ecologica. Su questo fronte quale ruolo vede per un’Agenzia ambientale come la nostra?

Io vedo due aspetti fondamentali per coinvolgere i cittadini e per far crescere la coscienza dell’ambiente come bene comune: uno è quello della divulgazione e l'altro è quello della Citizen Science. Su entrambi gli aspetti possono giocare un ruolo importante le Agenzie per la protezione ambientale.

Come CNR stiamo investendo molto sulle iniziative di divulgazione e i risultati e le risposte che arrivano dai cittadini, sia a livello scolastico che non, sono molto alte. C’è una partecipazione molto concreta e vediamo un'affluenza sempre maggiore, per esempio, agli eventi della Notte Europea dei Ricercatori.

Si tratta di coinvolgere i cittadini in attività interattive, ad esempio giochi tematici creati ad hoc, mostre con attività “hands on”, percorsi guidati o il caffè scientifico, iniziative che cerchino di catturare l'attenzione in maniera leggera, dicendo poche cose ma in maniera attraente per i non esperti. Si tratta di iniziative che, una volta sperimentate, possono crescere grazie al passaparola.

La Citizen Science è altrettanto importante e può essere altrettanto coinvolgente, perché molte persone, anche se non esperte, sono attratte dalle materie scientifiche e dai temi ambientali e sarebbero felici di poter contribuire ad attività di ricerca, ad esempio, installando una app o un sensore per la rilevazione automatica di parametri ambientali ed il successivo invio dei dati raccolti. È chiaro che si tratta di dati che non hanno un'affidabilità scientifica elevata, ma è anche vero che la raccolta di un gran numero di tali dati genera un campione statistico molto elevato, che ha un peso non trascurabile e può permettere di ottenere informazioni significative riguardo, ad esempio, ad un certo inquinante.

Anche un’Agenzia ambientale, per studiare e conoscere una certa situazione ambientale, potrebbe quindi beneficiare di questa partecipazione dei cittadini. Ne è un esempio quanto fatto nell’ambito del progetto EU Life15 PrepAIR, ovvero una campagna di sensibilizzazione delle persone, attraverso la somministrazione di questionari sulla percezione della qualità dell'aria.

Sono tutte iniziative che, con un po' di inventiva e poco sforzo, riuscirebbero a coinvolgere di più i cittadini nella protezione e nel controllo ambientale locale. E nessuno meglio delle Agenzie ambientali regionali e provinciali può farlo, conoscendo meglio di tutti il territorio.

Le città hanno un compito fondamentale da svolgere nel raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni. Quale ruolo può avere la biodiversità urbana da questo punto di vista?

La biodiversità è un tema di forte interesse generale ed il ruolo effettivo delle nature based solutions (NBS) nella capacità di ridurre i livelli di inquinanti atmosferici in ambito urbano è ancora molto discusso.

Mi riferisco soprattutto alle barriere verdi, l’esempio più semplice per quanto riguarda l'abbattimento degli inquinanti atmosferici in ambito urbano. Su questo versante i lavori di ricerca che riportano un'efficienza di abbattimento sono quelli in cui si sono usati test di laboratorio o sistemi controllati; quindi, non svolti in ambiente urbano reale. Ed è proprio nelle poche ricerche in ambiente reale che la situazione cambia: almeno il 50% di questi lavori riporta infatti risultati non convincenti riguardo all'efficienza delle barriere.

Il nostro istituto sta conducendo, nell’ambito del Centro Nazionale sulla Biodiversità NBFC, uno studio proprio su questo fronte: abbiamo costruito una barriera verde con piantine fresche, che non avevano un pregresso di esposizione al traffico, l’abbiamo installata e fatta crescere nelle immediate vicinanze di una strada ad alta densità di traffico e stiamo studiando la sua capacità di trattenimento degli inquinanti atmosferici, con particolare riferimento alle diverse componenti del PM10. Nel nostro caso, il traffico veicolare è con buona probabilità l'unica sorgente antropica che può agire sulla barriera, dato il suo posizionamento.

Attualmente i risultati, in termini di efficacia della barriera verde nel sottrarre inquinanti, non sono molto più convincenti di quelli ottenuti applicando la stessa procedura di indagine ad una barriera di materiale sintetico (foglie finte), anch’essa utilizzata nello studio per confronto.

Ovviamente la presenza di vegetazione in città è assolutamente indispensabile e ha un ruolo indiscusso di limitazione dell’effetto dell'isola di calore; quello che è in discussione invece è la capacità di abbattimento e trattenimento degli inquinanti.

C'è inoltre da considerare un ulteriore fattore, che contrasta l’abbattimento degli inquinanti, ovvero che la vegetazione emette di per sé, soprattutto nella stagione calda, sostanze organiche volatili (VOC) che contribuiscono all'inquinamento da particolato secondario, ovvero la componente del PM2.5 che si forma direttamente in aria da reazioni chimiche.

Bisogna quindi valutare entrambe le facce della medaglia delle barriere verdi: a fronte, infatti, di una possibile capacità di trattenimento e riduzione della concentrazione in aria degli inquinanti, va invece messo in conto un contributo alla nuova formazione di inquinanti (particolato secondario), soprattutto in condizioni di stagnazione atmosferica e di forte insolazione.

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