COP28: il lungo cammino contro la crisi climatica
Luci ed ombre al termine dell’ultima conferenza delle parti riunitasi a dicembre 2023
La Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), il principale accordo ambientale internazionale in materia di contrasto ai cambiamenti climatici, è stato firmato nel 1992, durante la Conferenza sull'ambiente e sullo sviluppo delle nazioni unite di Rio de Janeiro. Da allora, o più precisamente dal 1995, ogni anno, i Paesi (quasi 200) che hanno ratificato la Convenzione si riuniscono nella Conferenza delle Parti (COP), per provare a fare sintesi tra i diversi punti di vista e portare avanti negoziati internazionali sul contrasto alla crisi climatica.
Nella Conferenza del 2015 (COP21), ad esempio, per la prima volta è stato stipulato un accordo per il contrasto dei cambiamenti climatici, il cosiddetto Accordo di Parigi, che ha stabilito di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C. L’accordo ha previsto di essere attuato in modo da riflettere l’equità e il principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità, alla luce delle diverse circostanze nazionali.
Attualmente, come ci dicono gli scienziati del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), il mondo non è sulla buona strada per raggiungere questi obiettivi, di conseguenza, le parti riunite nell’ultima Conferenza (COP28), lo scorso dicembre 2023, hanno concordato un percorso per provare a tornare sulla buona strada, anche attraverso un processo volto ad allineare gli obiettivi e le misure nazionali all'Accordo di Parigi.
Il “Global Stocktake” è il documento approvato al termine del summit ed è una sorta di bilancio dei progressi fatti rispetto agli impegni presi con l’Accordo di Parigi ed un manifesto di buoni propositi contro la crisi climatica, considerando la mitigazione, l’adattamento e i mezzi di attuazione e sostegno, il tutto alla luce dell’equità e della migliore scienza disponibile. Vediamo nel dettaglio alcuni degli elementi che emergono dalla lettura del documento e, più in generale, dei 13 giorni di tavoli.
La COP invita i Paesi a contribuire allo sforzo di ridurre le emissioni allontanandosi gradualmente dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con quanto indicato dalla scienza.
Qui la COP28 ha segnato un record: per la prima volta, infatti, l’uso di tutti i combustibili fossili, cioè la principale causa del riscaldamento globale, viene esplicitamente citato negli accordi finali di una COP. Se questo aspetto può ritenersi un successo, l’accordo raggiunto dalla Conferenza delle Parti 2023 è in realtà lontano dagli impegni più ambiziosi di cui avevano fatto richiesta, in primis, i paesi più esposti ai danni del cambiamento climatico.
Proprio parlando di combustibili fossili, ad esempio, l’invito all’allontanamento graduale viene fatto tenendo conto delle «diverse circostanze, dei diversi percorsi e dei diversi approcci nazionali» e non vi è traccia di un appello, non solo all’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici, ma anche ad una loro graduale eliminazione. La transizione dai combustibili fossili riguarda quindi esclusivamente i sistemi energetici e non coinvolge il loro utilizzo in plastica, trasporti o agricoltura. Quanto all’eliminazione graduale, questa viene citata solo per l’energia prodotta dal carbone, per cui si richiede alle parti di accelerare tutti gli sforzi.
La COP invita i Paesi a triplicare a livello globale la produzione di energia da fonti rinnovabili e raddoppiare il tasso medio annuo di efficienza energetica entro il 2030. Il documento sottoscritto riconosce che il costo delle tecnologie a basse emissioni è calato sensibilmente negli anni grazie all’innovazione e alle economie di scala e chiede quindi di continuare con la diminuzione dei costi e con la sempre più ampia messa a disposizione di queste tecnologie.
La COP invita i Paesi a ridurre sostanzialmente entro il 2030 le emissioni di metano, un gas climalterante che ha un potenziale di riscaldamento maggiore dell’anidride carbonica. Non viene però specificato in quale misura deve avvenire tale riduzione.
La Conferenza invita anche ad accelerare le tecnologie a zero o basse emissioni, comprese, tra l’altro, le energie rinnovabili, il nucleare, che entra per la prima volta nel testo ma con un ruolo marginale e secondario rispetto alle altre fonti, la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio, le tecniche di abbattimento e rimozione come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori 'hard to abate'. Si tratta di tecnologie ancora molto costose e poco utilizzate, che secondo gli scienziati non avranno effetti determinanti sulla crisi climatica e potrebbero addirittura facilitare il mantenimento di una parte di produzione di energia da combustibili fossili.
La COP ha inoltre invitato ad accelerare la riduzione delle emissioni derivanti dal trasporto stradale, anche attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a zero e a basse emissioni.
Un altro importante traguardo dell’ultima COP è stato di aver reso operativo ciò che la precedente COP aveva creato, ovvero il così detto “fondo perdite e danni”, con cui i paesi più ricchi finanzieranno quelli in via di sviluppo, più esposti agli effetti negativi del cambiamento climatico. I fondi promessi al momento (792 milioni di dollari), però, non sarebbero assolutamente sufficienti, secondo le stime del Climate Action Network International (CAN-I), che riunisce oltre 1.900 organizzazioni della società civile in più di 130 Paesi. Desta inoltre preoccupazione la decisione di ospitare questo nuovo fondo sotto la Banca Mondiale, soprattutto a causa del modello basato sui prestiti, utilizzato dalla Banca stessa.
La COP sottolinea l'importanza di proteggere e ripristinare la natura e gli ecosistemi e di intensificare gli sforzi per arrestare e invertire la deforestazione entro il 2030 e invita le parti a preservare e ripristinare gli oceani e gli ecosistemi costieri. Una novità importante di questa ultima COP è una dichiarazione assunta da molti Paesi presenti circa gli impatti climatici dell’industria agroalimentare. Tuttavia, la dichiarazione non quantifica gli obiettivi e non cita il bestiame.
Le parti hanno infine adottato un quadro di riferimento per quanto riguarda l'adattamento, con l’obiettivo al 2030 di condurre valutazioni di impatto, vulnerabilità e rischio; adottare e attuare piani di adattamento e strumenti politici; istituire sistemi di monitoraggio, valutazione e apprendimento per gli sforzi di adattamento nazionali.
Come tutte le COP, adesso bisogna vedere come e quanto questi impegni si tradurranno in azioni concrete nei diversi paesi. Le parti dovrebbero infatti presentare entro la COP30 del 2025 i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) per il 2035. Tali NDC dovrebbero essere in linea con i migliori dati scientifici disponibili e con i risultati del bilancio stilato proprio durante la COP 28.
I governi seguiranno le indicazioni o agiranno in senso contrario? Insomma, come ha affermato lo stesso presidente della COP28, il successo di questo accordo dipenderà da quanto i Paesi del mondo decideranno effettivamente di fare, è tutta una questione di attuazione.
La COP29 si terrà a Baku, in Azerbaigian, nel novembre 2024, mentre la COP30 sarà ospitata dal Brasile, a Belém do Pará, nel 2025.