Cambiamenti climatici e corpi idrici in Toscana
Il tavolo tematico della Conferenza regionale sull’acqua, coordinato da ARPAT e LAMMA, ha dato voce ad esperti e professionisti che hanno delineato le criticità e le possibili risposte all’importante relazione tra clima e risorsa idrica
Come e perché i cambiamenti climatici hanno un impatto significativo sugli aspetti quantitativi e qualitativi dei corpi idrici? Cosa è possibile fare per contrastare questo impatto? A queste e altre domande hanno cercato di dare risposta gli esperti intervenuti al tavolo tematico promosso dalla Regione in preparazione della Conferenza regionale sull’acqua. Al tavolo, coordinato dal Direttore generale di ARPAT, Pietro Rubellini, insieme a Bernardo Gozzini, Amministratore unico del LAMMA, hanno partecipato Ramona Magno del CNR-IBE, Stefano Menichetti di ARPAT, Letizia Marsili dell’Università di Siena e Pierfranco Lattanzi, del CNR-IGG.
Pietro Rubellini ha aperto la mattinata di confronto sottolineando l’urgenza del tema trattato, quello del rapporto tra clima e risorsa idrica, che l’Agenzia ambientale, attraverso le sue attività, studia e affronta dal punto di vista qualitativo; sulle acque sotterranee il cambiamento climatico si manifesta principalmente con periodi di magra che vanno ad intercettare le acque profonde dove sono stati accumulati inquinanti fossili, mentre sulle acque superficiali sono le precipitazioni, di forte intensità e breve durata, a provocare erosioni di sedimenti oppure a fare un effetto "pistone" sugli inquinanti che vanno ad accumularsi in zone di calma, come ad esempio quelle carsiche. “Il tema degli impatti dei cambiamenti climatici sui corpi idrici – ha affermato il Direttore generale di ARPAT - deve costringere tutti quanti noi, dalle istituzioni ai cittadini, a trovare e mettere in atto soluzioni che ci permettano di limitare e prevenire questi impatti”.
Bernardo Gozzini ha quindi tracciato una breve panoramica dei cambiamenti climatici in atto nella nostra regione: dall’aumento molto veloce delle temperature alla modifica significativa nella distribuzione e nella stagionalità delle piogge, alla tendenza ad una maggior frequenza ed intensità delle fasi anticicloniche (piove tanto e in poco tempo). Un elemento importante che si osserva è inoltre l’aumento della variabilità e quindi l’alternanza tra anni o periodi molto piovosi e anni o periodi molto secchi. Per il futuro si prospetta un ulteriore aumento delle temperature e delle fasi siccitose sempre più frequenti, alternate a brevi periodi con intense precipitazioni. "Questi scenari - ha sottolineato l'Amministratore unico del LAMMA - ci lanciano una sfida fondamentale, che è quella di gestire la risorsa idrica, in particolare studiando dei modi per trattenere la pioggia ed utilizzarla per contrastare la riduzione di acqua disponibile.
Ramona Magno, ricercatrice dell’istituto per la BioEconomia del CNR e Coordinatrice scientifica dell'Osservatorio Siccità, ha sottolineato una caratteristica degli eventi climatici estremi, che hanno caratterizzato anche la nostra regione negli ultimi 20 anni, ovvero la loro co-occorrenza: ci troviamo oggi a fronteggiare infatti situazioni anche opposte tra loro (siccità, tempeste di vento, alluvioni, ondate di calore). Quanto alla scarsità della risorsa idrica, che è uno dei maggiori effetti dei cambiamenti climatici in corso, si tratta di un fenomeno molto complesso, con numerosi impatti su fronti molteplici; nonostante ciò, però, l’acqua continua ad essere considerata un elemento infinito e come tale la si continua ad usare senza l’opportuna attenzione. Secondo Magno quello che manca è un nuovo paradigma che ci permetta di rispondere con rapidità ed efficacia alle emergenze, riducendo il gap temporale tra l’evento e la sua gestione, ed anche di intervenire in maniera proattiva a partire dalle fasi di monitoraggio e previsione.
Stefano Menichetti di ARPAT ha brevemente illustrato lo stato di salute dei corpi idrici in Toscana in relazione ai cambiamenti climatici. Guardando allo stato ecologico e chimico delle acque superficiali, dai dati dei trienni 2019-2021 e 2016-2018, emerge in sostanza una situazione di stabilità. I corpi idrici sono sempre più soggetti a pressioni antropiche, come ad esempio la regimazione, e assistiamo ad una sempre più frequente mancanza di acqua, tanto che diventa complicato realizzare i monitoraggi, oltre ad una costante presenza di specie aliene e ad un aumento della temperatura dei corpi idrici.
Anche per quanto riguarda le acque sotterranee vi è stabilità dal punto di vista qualitativo ma si osserva una correlazione tra i dati delle precipitazioni e il peggioramento della qualità del corpo idrico. Gli inquinanti che più di altri determinano il peggioramento dello stato sono gli organoalogenati, che di solito, insieme ad altri inquinanti, si trovano in superficie e dopo abbondanti ricadute di pioggia, con il dilavamento, finiscono nelle acque sotterranee. Bisogna però specificare che le pressioni che provengono dalla superficie incidono sulla qualità delle acque sotterranee con un tempo dilatato in quanto i corpi sotterranei, proprio per i loro tempi di ricarica, riescono a mediare certe situazioni dovute ad importanti cambiamenti. Un esempio di questo meccanismo è quello che emerge dal monitoraggio delle acque sotterranee nella zona dell’Amiata dove le falde hanno un tempo di ricarica che si attesta intorno ai due anni. In questa zona dal 2010 l’Agenzia effettua un monitoraggio trimestrale, anziché semestrale, per monitorare le concentrazioni di arsenico. In quest’area non c’è un sovrasfruttamento della risorsa idrica e questo consente di capire con chiarezza la relazione tra le piogge e la scarsa qualità dei dati registrati nei piezometri. La correlazione tra i due fattori, soprattutto se i dati ambientali verranno confermati nei prossimi anni, risulta un segnale piuttosto preoccupante per le acque sotterranee dell’Amiata che sono importanti e strategiche per la nostra regione.
La professoressa Letizia Marsili dell’Università di Siena ha analizzato gli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi acquatici, in particolare marini, a partire dall’aumento delle temperature delle acque che favorisce l’anossia con conseguente moria di organismi viventi, passando poi per l’acidificazione degli oceani, ovvero l’aumento dell’acidità dovuto all’assorbimento dell’anidride carbonica da parte degli oceani, che mette a rischio l’integrità degli ecosistemi marini (ad esempio per l’indebolimento dei coralli e l’ammorbidimento delle conchiglie). Anche l’aumento del livello del mare mette a rischio le città e gli ecosistemi costieri.
Un particolare effetto dei cambiamenti climatici sono però le specie alloctone, anche dette aliene, ovvero specie trasportate dall’uomo in maniera volontaria o accidentale al di fuori delle loro aree di origine. Il cambiamento climatico ed in particolare l’aumento delle temperature delle acque sta aggravando il problema: specie infatti che non sarebbero sopravvissute perché il mar mediterraneo era troppo freddo, adesso riescono a sopravvivere e addirittura prosperare a spese delle specie native. Si parla in questo caso di specie aliene invasive, che risultano essere dannose per l’ambiente, la biodiversità, la salute e l’economia. In Italia si parla di ben 3000 specie aliene di cui il 15% invasive, con un aumento del 96% negli ultimi 30 anni. La nutria, la zanzara tigre, il gambero della Luisiana e il granchio blu sono tra le specie aliene invasive più conosciute.
Pierfranco Lattanzi, membro del Gruppo di mineralogia ambientale del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze nonché collaboratore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, ha portato sul tavolo lo specifico caso del fiume Paglia, affluente del Tevere che drena il lato orientale del distretto mercurifero del Monte Amiata, attivo fino ai primi anni ’80, e che per questo risulta fortemente contaminato dagli scarti dell’attività mineraria e metallurgica. Oggi si parla di almeno 60 tonnellate di mercurio contenute nei sedimenti fluviali del Paglia prevalentemente sotto forma di solfuro, che è molto poco solubile. Il mercurio si trova in terrazzi che normalmente non sono raggiunti dalle acque, ma quanto avvengono eventi di piena le acque raggiungono i terrazzi e ridistribuiscono in maniera importante i sedimenti contaminati. All’aumentare quindi di eventi estremi aumenta il trasporto dei contaminanti. Lattanzi, per affrontare la situazione della contaminazione del fiume Paglia, ha ipotizzato anche possibili interventi, se pur parziali, ovvero effettuare un monitoraggio in continuo del flusso di mercurio e piantumare le sponde per limitare l’erosione e la conseguente dispersione dei contaminanti.
Gli interventi del pubblico, che sono seguiti, hanno posto particolare attenzione alla collaborazione dei cittadini; questa collaborazione è stata presentata in termini di monitoraggio partecipato, come ad esempio nell’esperienza di citizen science sul fiume Pesa, o per il ruolo di sentinella che i cittadini possono rivestire negli episodi di grandine, per la quale non esistono sensori specifici, ma anche in termini di sensibilizzazione e coinvolgimento: da più parti è emerso infatti il bisogno di sviluppare una generale e radicata consapevolezza del problema e quindi una cultura del risparmio idrico.
Tema altrettanto importante quello della regolamentazione del settore turistico che costituisce una notevole pressione - limitata nel tempo e nello spazio - sulla risorsa idrica.