Cambiamento climatico: le specie aliene nel Mediterraneo
Gli effetti del cambiamento climatico: specie aliene e perdita di biodiversità. Abbiamo rivolto alcune domande a Letizia Marsili, docente di ecotossicologia all’Università degli Studi di Siena, per capire gli effetti del cambiamento climatico sulla biodiversità marina
Il Mar Mediterraneo, hot spot di biodiversità, è in pericolo: sovra sfruttamento delle risorse naturali, inquinamento, rifiuti marini ma anche cambiamenti climatici ed alterazione dell’habitat sono i principali fattori di pressione. Tra gli effetti del riscaldamento globale, la progressiva tropicalizzazione del Mar Mediterraneo ha comportato l'ingresso di specie non indigene, comunemente denominate “aliene” che sono aumentate significativamente, creando un nuovo ecosistema.
Per comprendere meglio questo fenomeno, abbiamo rivolto alcune domande a Letizia Marsili, docente di ecotossicologia, presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università degli Studi di Siena.
Recentemente sulla stampa sono stati pubblicati articoli sulla pericolosità di alcune specie aliene, tra cui la caravella portoghese e il pesce scorpione presenti nel Mar Mediterraneo. Può illustrare le peculiarità di queste specie?
È necessario, in primis, fare delle precisazioni tra le due specie.
La prima, cioè la caravella portoghese (Physalia physalis), non è una medusa, come spesso viene detto, ma un’aggregazione di polipi che vivono galleggiando sulla superficie dell'acqua grazie ad una sacca piena di gas, con una forma leggermente appiattita, che funge da vela, detta pneumatoforo, e non è neppure una vera e propria specie aliena in quanto, anche se originaria dell’Oceano Atlantico, la sua presenza è documentata nel Mediterraneo, con dei reperti in vari musei di Storia Naturale, compreso quello di Firenze, fin dalla metà del 1800.
È una specie particolarmente studiata dagli scienziati perché nei suoi lunghi tentacoli (fino a 30 m) possiede organelli urticanti che utilizza per predare ma che possono causare reazioni molto gravi nell'uomo, fino, in casi estremi, alla morte.
Il secondo, il pesce scorpione (Pterois volitans) (foto @vecstock by freepick) è un pesce tropicale, diffuso originariamente nelle acque dell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso ma, tramite una migrazione lessepsiana, cioè resa possibile dall’apertura del Canale di Suez, dal 1992 ha colonizzato il Mediterraneo orientale ed ora si sta espandendo verso ovest, con il primo avvistamento in Italia che risale al 2016, quando il pesce venne segnalato nella Sicilia sud-orientale, ma con due avvistamenti proprio nel luglio di quest’anno nelle acque della Calabria ionica. Anche questa specie risulta potenzialmente pericolosa per l’uomo in quanto è dotata di spine velenose che provocano punture dolorose e talvolta possono portare alla morte, in particolare per chi ha problemi di tipo cardiocircolatorio ma anche per reazioni anafilattiche.
Quello che sicuramente hanno in comune la caravella portoghese e il pesce scorpione, è che si stanno espandendo sia come areale che come numero a causa del riscaldamento dei mari e, quindi, del cambiamento climatico. La diffusione di queste specie sta avendo un effetto negativo sull'ecosistema del Mediterraneo, proliferando a scapito delle specie autoctone e diventando invasive. Ad esempio, il mestiere del pesce scorpione è fare il predatore: lo sa fare molto bene, è molto vorace e mangia una grande varietà di prede (pesci più piccoli, avanotti, crostacei, ecc.) in notevole quantità, fino ad otto volte il suo peso corporeo, con effetti devastanti sulla fauna locale. Oltre alla grave perturbazione ecosistemica, questo potrebbe avere grosse ripercussioni anche sull’economia del mare in quanto potrebbe contribuire marcatamente alla riduzione degli stock ittici creando un danno importante per la pesca.
Tra le specie che entrano nel Mediterraneo, che si sono rapidamente moltiplicate e ora sono ben radicate nel nostro mare, vi è il granchio blu (Callinectes sapidus), quali sono le ricerche in atto?
L’Università di Siena ha vinto un progetto di ricerca del Fondo Europeo per gli Affari Marittini e della Pesca (di seguito FEAMP 2014 – 2020) dal titolo: “Dove il mare è più blu, attenzione al granchio blu! (Callinectes sapidus)", le cui azioni sono state portate avanti in collaborazione con la Cooperativa San Leopoldo di Grosseto, nata nel 1998 per l'esercizio della pesca, dell'acquacoltura e attività connesse. Le finalità del progetto erano volte sia alla conoscenza della distribuzione ed abbondanza del granchio blu in Toscana, sia alla sensibilizzazione e informazione dei pescatori, allo scopo di attuare misure efficaci per prevenire, controllare, mitigare ed eventualmente eradicare questa specie alloctona invasiva causa di ingenti danni economici ed ambientali. I predatori del granchio blu sono pochi: sicuramente le tartarughe marine, probabilmente alcuni specie di uccelli, cefalopodi e pesci. L’uomo rappresenta a sua volta un importante predatore, ma solamente in alcuni paesi quali Stati Uniti e Messico dove questo crostaceo viene pescato e consumato in grandi quantità. In questi paesi le sue carni sono molto apprezzate e hanno un elevato valore commerciale.
(Foto di Federico Nocchi, loc. Tre Ponti, Livorno, 21 gennaio 2023)
Con questo progetto ci siamo focalizzati sulla valutazione della qualità del granchio blu come prodotto alimentare, valutando la presenza qualitativa e quantitativa di alcuni contaminanti ambientali che, se superiori al limite di legge, lo renderebbero non commestibile. Dai risultati ottenuti è stato possibile stabilire che il consumo di questo granchio non costituisce un problema di sicurezza alimentare in quanto le concentrazioni dei contaminanti analizzati (organoclorurati, idrocarburi policiclici aromatici, mercurio, cadmio e piombo) rientrano, fatte poche eccezioni, ampiamente all’interno dei tenori massimi di contaminazione stabiliti dal Regolamento CE 1881/2006 , che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari . Pertanto, per quanto riguarda gli aspetti legati alla contaminazione, il granchio blu può rappresentare una nuova risorsa alimentare, preferendo esemplari pescati lontani da aree fortemente impattate dall’uomo (porti, grandi città, scarichi industriali). Quindi l’utilizzo di questo crostaceo, per fini alimentari, può favorire sia il commercio di una nuova specie, sia essere, indirettamente, un metodo per limitare l’espansione di questa specie aliena invasiva. Questa possibile soluzione, infine, potrebbe contrastare la crescita incontrollata e limitare i danni causati da parte del granchio blu agli habitat e alle specie che costituiscono gli ecosistemi di basso ed alto estuario. All’Università di Siena, proprio su questa scia sono state anche elaborate due tesi di Laurea: “La specie alloctona invasiva Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) proposta come nuova risorsa alieutica per il contenimento della sua espansione” e “La specie alloctona invasiva Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) si combatte a tavola” con una proposta di cattura proprio a scopo alimentare.
Come abbiamo già ricordato nel monitoraggio effettuato da ARPAT delle specie non indigene, prima nel porto di Piombino ed attualmente nel porto di Livorno, per la Direttiva sulla Marine Strategy, non ha registrato catture di tale specie; tuttavia la presenza del granchio blu è stata segnalata da pescatori che hanno catturato esemplari alla foce o in risalita dei fiumi (Serchio, Arno e Ombrone) e anche da cittadini nei fondali del mare a Livorno (vedi foto di esemplare in loc. Tre ponti a Livorno).