Nuovi strumenti nei laboratori ARPAT per migliorare il monitoraggio della qualità dell'aria e il controllo delle emissioni in atmosfera
Sviluppate alcune linee analitiche strumentali presso l’Unità Operativa Chimica II dell’Area Vasta Centro dell’Agenzia
Grazie ad alcuni investimenti effettuati presso i laboratori ARPAT e resi possibili dai fondi del PNRR, nei primi mesi del 2023 è stata acquistata la strumentazione necessaria per lo sviluppo di nuovi metodi, con la finalità di ampliare la capacità analitica del laboratorio dell’Area Vasta Centro dell’Agenzia, in ambito sia di controllo che di monitoraggio.
Si tratta di un cromatografo ionico (vedi immagine di copertina) con opportuni rivelatori, sensibili rispetto ad alcune sostanze di interesse da determinare, che ha consentito di mettere a punto la procedura per la determinazione del levoglucosano nei filtri provenienti da alcuni siti di monitoraggio della qualità dell’aria.
Il levoglucosano consente infatti, come tracciante, di studiare il possibile contributo della combustione delle biomasse (es. legna e combustibili derivati da legna, apporto da abbruciamenti in agricoltura etc.) alla concentrazione atmosferica di particolato (PM10) e individuare quindi le possibili sorgenti di emissione.
Tale studio potrà avere un interesse significativo nell’ambito degli approfondimenti che ARPAT sta conducendo nella Piana lucchese. La Piana è oggetto della Procedura di infrazione, causa C-644/2018 relativa al materiale particolato PM10; infatti il valore limite giornaliero del PM10 (50 µg/m3) viene superato per un numero di giorni maggiore di 35 per anno civile.
Lo stesso strumento ha consentito al contempo di mettere a punto la quantificazione di alcuni parametri oggetto di controllo in emissioni convogliate in atmosfera: acido solfidrico, acido cloridrico e anidride solforosa. Inoltre, il nuovo gascromatografo, accoppiato con il rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID) e con lo spettrometro di massa (vedi immagine a fianco), permette di riconoscere e quantificare i composti organici volatili nelle emissioni in atmosfera. L’analisi in laboratorio si effettua dopo aver aspirato un volume d’aria attraverso un’opportuna fiala che trattiene le sostanze ricercate.
Infine, un’ulteriore linea di sviluppo per il laboratorio è rappresentata dalla tecnica SPME, ovvero la microestrazione in fase solida, già operativa in ARPAT dal 2019, destinata alla matrice acqua e utilizzata prevalentemente per il monitoraggio dei corpi idrici superficiali e sotterranei.
Nella tecnica SPME, l’impiego di una fibra speciale (vedi immagine a fianco) per l’estrazione degli analiti permette di automatizzare la procedura analitica e soprattutto di eliminare l’impiego di solventi, limitando così i costi ed aumentando la produttività e l’efficienza dell’analisi, in termini di numero dei campioni processati, oltre al vantaggio di ridurre fortemente la produzione di rifiuti di laboratorio e migliorare la sicurezza degli operatori.
Con questa tecnica è in fase di sviluppo un metodo per alcune sostanze prioritarie (cloronitro-benzeni e cloronitro-tolueni) per la classificazione dei corpi idrici, in aggiunta a IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e PCB (policlorobifenili).
Il percorso di sviluppo e accreditamento procede pertanto nell’ottica di miglioramento e qualificazione delle attività analitiche ambientali.